Valvola di sfogo per un periodo di ricostruzione. A volte sono una chiavica, a volte mi pregio di scrivere cose interessanti. Accomodatevi e se ne avete voglia commentate e giudicate. Se volete scendere nel personale scrivetemi pure: andrea_carraro@yahoo.it

mercoledì 25 aprile 2007

In the Flesh

Ecco per voi un altro capitolo delle mie memorie rock n' roll.
Buona lettura.

BLACK CHRISTMAS

Il 24 settembre 1980 si sono consumati due drammi diversi.
Quella notte John Bonham, batterista dei Led Zeppelin, moriva nella casa di campagna di Jimmy Page dopo essersi fatto 40 bicchieri di vodka in 4 ore.
Qualche migliaio di chilomteri più in la, il matrimonio dei miei genitori andava a bagno per svariati motivi, tra cui l’alcool, la gelosia, questioni irrisolte con suoceri e suocere e chi più ne ha più ne metta.
Per quel che mi riguarda la mia vita non sarebbe più stata la stessa.
Era il giorno del trentottesimo compleanno di mio padre e per via di un arrosto fresco di macelleria che buttò nella spazzatura in preda all’ennesimo attacco di gelosia nei confronti di mia madre, cominciò il litigio che pose fine ad un matrimonio difficile fin dagli inizi.

Quando guardo le foto di mio padre in quegli anni vedo un pochino me stesso.
Si chiama Giorgio, ed è un buon uomo cresciuto nella famiglia sbagliata e, anche se i suoi parenti sono riusciti in qualche modo a guastargli l’esistenza, lui ha sempre cercato, quando ne era in grado, di migliorarsi e di affrancarsi da quei pesi che l’hanno sempre tirato verso il fondo.
Mio padre, anche se ancora oggi non fa mistero del suo odio per Mick Jagger, è sempre stato un tipo molto rock n’ roll.
Se devo abbozzare uno schizzo di lui, non posso non ritrarlo con i suoi stivaletti e il giubbotto di pelle, i jeans a zampa, la camicia sbiadita e i suoi riccioli neri fino alle spalle.
Da quel che ne so mi sono perso i tempi migliori, quando girava per Genova a bordo di una Porsche Carrera argentata accompagnato sempre da belle ragazze e in compagnia delle persone più assurde che potevi incontrare nella Genova degli ultimi anni ’60.
Mio padre è un meccanico, ma non di quel tipo che oggigiorno attacca la centralina della tua utilitaria giapponese ad un personal computer per regolargli il minimo, no, lui era uno specialista nel preparare i motori di macchine nate per ingrassare i paesi dell’OPEC.
Tutti i giorni la sua officina pullulava di figli di papà smaniosi di farsi truccare la loro Porsche, di spacciatori che vendevano ai figli di papà l’eroina da consumare nella loro Porsche, di aspiranti musicisti che speravano di scroccare un po’ di roba ai pusher e così via.
Insomma, era un ambiente piuttosto curioso, e la cosa più assurda era che mio padre si muoveva in mezzo a quel gruppo eterogeneo senza farsi minimamente toccare ne dalle tentazioni ne dalle manie di grandezza.
Lui è sempre rimasto li, pronto a raccontare una storia divertente o un aneddoto curioso su quel cliente che si faceva scorazzare in Maserati da Genova a Napoli o del suo amico che si era spezzato entrambe le gambe cadendo dalle mura di cinta di un carcere in Grecia, dove era rinchiuso per traffico, e riaccompagnato a braccia in cella, in preda a dolori lancinanti, dai zelanti secondini.

In fondo ho preso molto da lui.

Quando i miei si separarono, anche se la sua officina si trovava di fronte al palazzo dove andai a vivere con i miei nonni, non vidi più mio padre per molti mesi, o meglio, lo vedevo sempre, ma ero troppo spaventato per andare da lui.

Quando arrivò la primavera dell’81 io e mio fratello iniziammo a passare qualche weekend con lui e fu durante quelle giornate che ebbi il primo assaggio cosciente di qualcosa che poteva avvicinarsi al rock e al tempo stesso che iniziai ad odiare con tutto me stesso i Pink Floyd.

Gli amici di mio padre, un gruppo di sconvoltoni di Vernazzola, altro borgo marinaro oggi molto “in” ma all’epoca fulcro di una scena assolutamente dedita alla vendita ed al consumo di qualunque sostanza stupefacente, decisero che dovevano fare qualcosa per tirarlo su dalla mazzata del divorzio e, pertanto, lo caricarono su di un furgoncino Volkswagen con destinazione Dortmund, per assistere ad una data del tour di The Wall dei Pink Floyd.
Dovete capire che, seppure la sorella di mio padre si fosse sparata tutta la Swingin’ London, uscendo addirittura con Keith Emerson ai tempi dei Nice, e tutt’oggi ne porta addosso le conseguenze, il mio genitore non era mai stato ad un concerto in vita sua, e scegliere come battesimo del fuoco i Pink Floyd non è stata proprio una furbata da parte dei suoi amici, soprattutto considerata la tortura piscologica alla quale siamo stati poi costretti io e mio fratello nei mesi successivi.

Io e mio fratello eravamo ancora piuttosto scossi per come era andato il divorzio e ci mancava soltanto passare il weekend con un padre che era diventato una sorta di versione moderna del Vecchio Marinaio di Samuel Taylor Coleridge, costretto da forze misteriose a raccontare a chiunque come fosse andato il concerto dei Pink Floyd.

Ogni volta che salivamo in macchina istantaneamente partiva In The Flesh a tutto volume e iniziava la telecronaca in differita dell’esibizione dei Pink Floyd “vedete, qui veniva fuori un letto gigante e qui volava un maiale gonfiabile su tutto il pubblico”.

Andò avanti così per mesi. Alla fine sapevo anche di che colore erano le mutande di Roger Waters quella sera.

L’unica cosa positiva di questo improvviso innamoramento per il rock da parte di mio padre fu che anni dopo chiese alla sua convivente, poi sua moglie e poi ancora sua ex moglie, di regalargli una chitarra per imparare a suonarla, cosa che non fece mai, e quella chitarra rimase nel suo astuccio per anni fino al giorno in cui per la prima volta andai a trovare mio padre nella sua nuova casa nel 1988.

Dovete sapere che qualche anno prima mi ero fissato nel voler imparare a suonare il pianoforte, megalomane come al solito, senza ottenere grandi risultati, e mio padre continuava a darmi del borghese per questa scelta, anche se avevo solo 11 anni, e insisteva perché io imparassi a suonare la chitarra, strumento più pratico e più semplice da suonare, ma niente da fare.

Mi diceva anche che si beccava della figa suonando, cose che per me all'epoca era pura fantascienza e che tuttoggi devo ancora sperimentare.

Come dicevo prima, in quella fatidica sera dell’88 mi recai a casa sua con mio fratello e, notata la chitarra oramai più vicina ad una mummia che ad uno strumento, chiesi se potevo suonarla un pò.

Le mie nozioni chitarristiche si limitavano a suonare il riff di Smoke On The Water, imparato durante i miei anni di frequentazione dell’azione cattolica, e poco altro, ma dopo mezz’ora ero già diventato completamente dipendente dallo strumento.

Quella sera tornai a casa con la chitarra di mio padre, con grande incazzatura da parte della sua compagna.

In cuor mio pensai “cazzi loro”, io avevo la chitarra ed era l’unica cosa che mi importava.

Nei mesi successivi mi dedicai anima e corpo ad imparare a suonarla, stranamente avevo scoperto le accordature aperte ancora prima della standard e le sperimentavo ogni domenica dopo la messa a casa del mio amico Bruno.

Suo padre era un grande appassionato di bluegrass e dixieland, e io e lui passavamo ore mandando in saturazione i suoi preziosissimi Fender Super Reverb degli anni '60 facendo un casino della madonna per la gioia dei vicini di casa.

Tutto filava liscio in casa mia, in fondo una chitarrina classica non ha mai fatto del male a nessuno, ma a settembre io e mio fratello decidemmo che era venuto il momento di comprare una chitarra elettrica.

C’era però un piccolo problema, tutte le chitarre costavano un occhio della testa, ma un giorno scoprimmo che una marca di chitarre coreane, la Vester, vendeva repliche di chitarre migliori, come la Fender Stratocaster, a 175.000 lire, neanche la metà del nostro budget per i regali natalizi, e così ci mettemmo ad implorare i nostri genitori affinché ce la comprassero assieme ad un piccolo amplificatore.

Le scene patetiche che io e Sandro recitammo per tre mesi dovettero esasperare i nostri genitori e così arrivò quello che nel loro diario, e dei nostri vicini, potrebbe essere definito il ‘Natale Nero’.

La chitarra che avevamo scelto era un’imitazione della classica Kramer di Eddie Van Halen, rossa a strisce bianche, la chitarra più tamarra del mondo, ma ai nostri occhi sembrava una vera opera d’arte.

La mattina del 25 dicembre 1988 il distorsore fece l’ingresso in casa nostra e, se io e Sandro potevamo ancora aspirare ad un qualunque tipo di carriera scolastica, quello fu il giorno in cui tutto passò definitivamente in secondo piano.

"Rock n’ roll is here to stay" diceva qualcuno e, anche nel nostro caso, non se ne è più andato.

venerdì 20 aprile 2007

I smell a rat ...

Già.

Questa è un'espressione in inglese che adoro utilizzare.

Sarà perché sono pessimista e paranoico ultimamente, ma il suo significato, che equivale al nostro "sento puzza di bruciato" o, ancora meglio, "sento puzza di fregatura" è assolutamente attuale.

Vi farò sapere, ma il mio sesto senso e la strana sensazione di déjà vu che provo da circa 4 ore mi lascia presagire che questo non sarà un weekend facile, e non mi riferisco a Genoa-Juventus.

Cesare, morituri te salutant.


Aggiornamento delle 02:02

Cercavo su YouTube un video per farmi ancora un pò male, lo trovate a fine post con commento, ma il mio Mac mi ha portato automaticamente alla sezione della View Askew.

Ho trovato questo sketch con Randall e Dante di Clerks e mi ha tirato su di morale immediatamente, così ve lo passo.

In un certo senso ha anche un significato serio, ma forse ce lo vedo solo io.

"Guy offers you the fire from Olympus, that is The Flying Car, and you trade him a bum foot?"


Spero capiate l'inglese perché sono 5 minuti che rido da solo.

Ora veniamo all'intermezzo doloroso, stasera ci sta, almeno vado a dormire con la giusta disposizione negativa, tanto domani è venerdì.

E mi fumo l'ultima Dunhill.

Questa è la mia canzone proibita, da ascoltare solo in momenti di depressione assoluta.

Ne conosco di più struggenti, ne conosco di più belle, ma niente mi fa sentire più irrimediabilmente nella merda e sofferente di questa.

Signori e signore The Price dei Twisted Sister.

Una mega power-ballad nella migliore tradizione dell'heavy metal americano anni '80.

Non è degna di Home Sweet Home
dei Motley Crue, non è pomposa come
I Remember You degli Skid Row, ma ha quel classico colpo di cassa trionfale che solo Michael Wagner, il produttore, riusciva a tirare fuori anche dalle lattine di Coca.

L'assolo di Eddie Ojeda non è neanche lontanamente paragonabile a quello di Mick Mars nella già citata Home Sweet Home ma, cazzo, Dee Snider la canta come se gli stessero strappando il cuore dal petto e glielo infilassero in un tritacarne davanti ai suoi occhi.

Ma perché quell'heavy metal non conosce vie di mezzo?

O cantano di pompini in camerino o di storie d'amore tragiche da far sembrare Il Soldatino di Stagno di H. C. Andersen una storia a lieto fine.

Vabbé, andiamo a dormire che è meglio.

Notte,

Andre

mercoledì 18 aprile 2007

Restyling

No, non avete sbagliato blog.
E' sempre il lagnosissimo blog di Andre, ma con una nuova veste.
Era un pò che volevo farlo e oggi mi sono deciso.

Il template di Blogger proprio non mi piaceva, in parte lo avevo già modificato, ma oggi ho deciso di mettermici di impegno e ce l'ho fatta.

Ieri sera ragionavo su di un libro illustrato per bambini, Where The Wild Things Are/Nel Paese dei Mostri Selvaggi di Maurice Sendak, parlando col mio amico Bruno delle riviste per bambini che c'erano quando eravamo piccoli e di quanto fossero esteticamente perfette.

Mi è sempre piaciuta l'atmosfera assolutamente onirica di questo libro e così ho deciso di applicarla al mio blog, considerato che ci scrivo sempre quando dovrei invece dormire.

Spero vi piaccia.

Unire i puntini ...

Giovedì scorso mi sono trovato a fare un discorso piuttosto serio con una persona, si parlava di paura della morte, di paura del futuro, soprattutto da parte sua per la prima e da parte mia per la seconda.

Il weekend ha portato consiglio, io ho ragionato molto sul mio futuro, forse ho capito veramente cosa farne, e domenica notte mi sono trovato a vedere questa persona stare molto male, vederla impaurita, piccola e indifesa quando il dolore che provava l'ha portata a pensare di essere prossima a morire.

E' stato buffo che io fossi li in quel momento, spaventato, preoccupato, ma con la mia solita calma apparente a farle coraggio e a far finta di niente.

Io, che pochi giorni prima le dicevo che la morte è una cosa normale, che in fondo fa parte del percorso che dobbiamo compiere, dentro di me stavo malissimo, anche quando ho saputo che era tutto a posto.

Ho avuto mal di stomaco tutto il giorno per la tensione e la sera ero di nuovo li, a farle coraggio, sollevato vedendola stare meglio ma ammettendo che, anche se faccio l'impassibile, dentro spesso non sto come sembra.

Volevo farvi leggere queste righe, sono la traduzione migliore che potessi fare di un discorso di Steve Jobs di fronte agli studenti dell'Università di Stanford del giugno 2005.

A me piace molto, ogni tanto me lo rileggo perché mi fa ragionare sul futuro, su tutte le paure che mi affliggono, i fantasmi che mi porto dentro, la paura che ho ogni giorno di fare veramente quello che vorrei fare.

Me lo dicono in molti: "Andre, perché vedi tutto nero? Perché sei così pessimista? Perché non ti fidi una volta tanto delle tue impressioni invece che delle tue paure?".
Ragazzi non lo so, ma ora come ora è così.

Per me queste parole di Steve Jobs sono verità assolute, anche se non riesco ancora a seguirle.

Spero di farcela un giorno.


Il Discorso di Steve Jobs

Sono onorato di essere con voi al vostro diploma presso una delle migliori università del mondo.
Io non mi sono mai diplomato al college. In verità, questa è la volta che sono stato più vicino ad una cerimonia per il diploma.
Oggi voglio raccontarvi tre storie della mia vita.
Tutto qui, niente di che. Solo tre episodi.

La prima storia ha a che fare con l'unire i puntini.

Ho mollato il Reed College dopo i primi 6 mesi, e poi sono rimasto li come un imbucato per altri 18 mesi circa prima di mollare veramente.

Perché ho mollato?

Tutto è cominciato prima che io nascessi.

La mia madre biologica era una giovane studentessa diplomata, nubile, e decise di darmi in adozione.
Era fermamente convinta che io dovessi essere adottato da una coppia di diplomati al college, pertanto tutto era stato organizzato affinché io fossi adottato alla nascita da un avvocato e sua moglie.
Eccetto che quando io venni al mondo questi decisero che in verità volevano tanto una bambina.
Pertanto i miei genitori, che erano in lista d'attesa, ricevettero una chiamata nel pieno della notte e gli dissero: "Abbiamo un maschietto non previsto; lo volete?" Loro risposero: "Certo."

Più tardi la mia madre naturale scoprì che mia madre non si era mai diplomata al college e che mio padre non aveva mai finito il liceo.
Si rifiutò di firmare i documenti finali per l'adozione.
Cambiò idea mesi più tardi quando i miei genitori le promisero che io sarei andato al college.
E così 17 anni più tardi io andai al college.

Stupidamente scelsi un college che era caro quasi come Stanford, tutti i risparmi dei miei genitori se ne andavano nella mia retta.
Dopo sei mesi non riuscii a vedere il senso di tutto ciò.

Non avevo idea di cosa volessi fare della mia vita e di come il college mi avrebbe aiutato a capirlo.
E intanto ero li a spendere tutti i soldi che i miei genitori avevano messo da parte per tutta la loro vita.
Decisi di mollare convinto che tutto si sarebbe risolto per il meglio.
All'epoca fu una cosa che mi faceva paura, ma guardandomi indietro è stata una delle decisioni migliori che io abbia mai preso.
Nell'istante in cui mollai ho potuto smettere di seguire i corsi obbligatori che non mi interessavano e seguire invece quelli che mi sembravano interessanti.

Non era tutto così romantico. Non avevo una stanza, quindi dormivo sul pavimento di qualche amico, rendevo i vuoti delle bottiglie di Coca Cola per il deposito di 5 centesimi per comprarmi da mangiare, e ogni domenica sera camminavo per 7 miglia attraverso la città per godermi un buon pasto al tempio Hare Krishna.
Lo adoravo. E tutto ciò in cui mi imbattevo seguendo la mia curiosità si rivelò inestimabile più avanti.

Vi farò un esempio: il Reed College all'epoca offriva probabilmente il miglior corso di calligrazia della nazione.
In tutto il campus, ogni poster, ogni etichetta su ogni cassetto, era stupendamente calligrafata a mano.
Non dovendo più seguire i corsi normali, decisi di seguire quello di calligrafia per imparare come si faceva.
Imparai cosa erano i caratteri con e senza le "grazie", come si poteva variare lo spazio tra diverse combinazioni di lettere, cosa rendeva grande la grande tipografia.
Era tutto bello, storico, artisticamente subdolo in una maniera che la scienza non riesce a cogliere, e lo trovavo affascinante.

Niente di tutto ciò aveva la minima possibilità di applicazione pratica nella mia vita. Ma dieci anni fa, quando stavamo progettando il primo computer Macintosh, mi ritornò in mente. E lo abbiamo incluso nel Mac.
Era il primo computer con dei bei caratteri. Non fossi mai capitato a frequentare quel singolo corso al college, il Mac non avrebbe mai disposto di caratteri multipli o separati proporzionatamente. E, visto che la Microsoft ha semplicemente copiato il Mac, è probabile che nessun personal computer li avrebbe.

Non avessi mollato, non sarei mai capitato in quel corso di calligrafia e i personal computer oggi non avrebbero i bei carratteri di cui invece sono dotati.

Ovviamente era impossibile unire i puntini in avanti quando ero al college.
Ma era tutto molto, molto chiaro guardandosi indietro dieci anni più tardi.
Di nuovo, non si possono unire i puntini guardando in avanti; puoi farlo solo guardando indietro.
Pertanto dovete credere al fatto che in qualche modo si uniranno nel vostro futuro.
Dovete avere fiducia in qualcosa - il vostro stomaco, il destino, il karma, qualunque cosa. Questo approccio non mi ha mai deluso, ed ha fatto tutta la differenza nella mia vita.

La mia seconda storia parla di amore e perdita.

Sono stato fortunato - ho scoperto presto nella mia vita cosa amavo fare.

Woz ed io abbiamo comminciato la Apple nel garage dei miei genitori quando avevo 20 anni.
Lavoravamo duro e in 10 anni la Apple passò dall'essere soltanto noi due in un garage a diventare un'azienda da 2 miliardi di dollari con 4000 dipendenti.

Un anno prima avevamo appena realizzato la nostra creazione migliore - il Macintosh -
ed io avevo compiuto 30 anni. E poi fui licenziato.

Come puoi essere licenziato da una società che hai fondato tu stesso?

Beh, mentre la Apple cresceva, avevamo assunto a dirigere con me l'azienda una persona che io ritenevo ricca di talento, e per il primo anno le cose andarono bene.
Ma poi cominciammo a dissentire su come vedevamo il futuro e alla fine il rapporto tra noi si deteriorò irreparabilmente.

Quando successe, il nostro consiglio di amministrazione si schierò dalla sua parte.
Pertanto a 30 anni io ero fuori.
Fuori in una maniera molto visibile.
Ciò che era stato il centro dell'attenzione di tutta la mia vita adulta era sparito, e fu devastante.

Per un pò di mesi non seppi cosa care.
Sentivo di aver deluso la precedente generazione di imprenditori - di aver lasciato cadere il testimone mentre mi veniva passato.

Mi incontrai con David Packard e Bob Noyce e cercai di scusarmi per aver fallito in così malomodo.
Avevo fallito in un modo così plateale che pensai pure di scappare dalla valley.
Ma lentamente cominciai a comprendere qualcosa - amavo ancora quello che facevo.

Quello che era successo alla Apple non lo aveva cambiato neanche un pò.
Pertanto decisi di ricominciare da capo.

All'epoca non lo capivo, ma essere licenziato dalla Apple è stata la cosa migliore che mi potesse succedere.

Il peso di avere per forza successo fu sostituito dalla leggerezza di essere di nuovo un principiante, più dubbioso di tutto.
Mi aveva reso libero e in grado di cominciare uno dei periodi più creativi della mia vita. Nei cinque anni successivi fondai una compagnia chiamata NeXT, un'altra chiamata Pixar, e mi innamorai di una donna fantastica che sarebbe diventata mia moglie.

La Pixar realizzò il primo film animato completamente al compuer, Toy Story, ed ora è lo studio di animazione di maggior successo al mondo.

Per un curioso susseguirsi di eventi, la Apple comprò la NeXT, e la tecnologia che avevamo sviluppato alla NeXT è ora il cuore della rinascita odierna di Apple.

E io e Laurene abbiamo insieme una famiglia meravigliosa.

Sono sicuro che tutto ciò non sarebbe successo se io non fossi stato licenziato dalla Apple.
E' stata una medicina amarissima da prendere, ma credo che il paziente ne avesse bisogno.

A volte la vita ti colpisce sulla testa con un mattone.

Non perdete la fede.
Sono convinto che l'unica cosa che mi ha fatto andare avanti fosse che amavo quello che facevo.

Dovete scoprire cosa amate. E questo vale sia per il vostro lavoro che per chi amate.

Il vostro lavoro occuperà una grande parte della vostra vista, e l'unico modo di essere veramente soddisfatti è fare quello che voi crediate essere un gran lavoro.

E l'unico modo di fare un gran lavoro è amando quello che fate.
Se non lo avete ancora trovato, continuate a cercare. Non accontentatevi.
Come per tutte le questioni di cuore, lo capirete quando lo avrete trovato.
E, come ogni relazione importante, diventerà sempre meglio con il passare degli anni.
Pertanto continuate a cercarlo. Non accontentatevi.

La terza storia ha a che vedere con la morte.

Quando avevo 17 anni lessi una frase che diceva più o meno così:

"Se vivi ogni giorno come se fosse l'ultimo, prima o poi avrai avuto sicuramente ragione."


Mi colpì, e da allora, per gli ultimi 33 anni, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi: "se oggi fosse il mio ultimo giorno di vita, avrei voglia di fare quello che sto per fare oggi?"
Ogni volta che la risposta è stata "No" per troppi giorni di fila, sapevo che avrei dovuto cambiare qualcosa.

Ricordarmi ogni giorno che sarei morto presto è lo strumento più importante che io abbia mai incontrato per aiutarmi a prendere le decisioni importanti della vita.
Perché quasi tutto - tutte le aspettative esterne, tutto l'orgoglio, tutta la paura dell'imbarazzo e del fallimento - tutte queste cose spariscono di fronte alla more, lasciando solo ciò che è veramente importante.

Ricordandovi che morirete è il miglior modo per evitare la trappola di pensare che abbiate qualcosa da perdere.

Non c'é motivo per non seguire il proprio cuore.

Circa un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro.

Ho fatto un esame alle 7:30 del mattino , e mostrava chiaramente un tumore al mio pancreas. Non sapevo neppure cosa fosse i l pancreas. I dottori mi dissero di essere praticamente certi che si trattasse di un tipo di cancro incurabile, e che dovevo aspettarmi di vivere non più di 3/6 mesi.

Il mio dottore mi consiglio di andare casa e di mettere a posto i miei affari, che nel codice dei dottori vuol dire prepararsi a morire.

Significa dire ai tuoi figli in pochi mesi quello che gli avresti dovuto dire nei prossimi 10 anni.

Significa assicurarsi che tutto sia a posto così da rendere tutto il più facile possibile per la tua famiglia.

Significa dire i tuoi addio.

Ho convissuto con quella diagnosi tutto il giorno.
La sera mi è stata fatta una biopsia, dove ti infilano un endoscopio giù per la gola, attraverso lo stomaco e l'intestino, per infilare un ago nel mio pancreas e prendere alcune cellule dal tumore.

Ero sotto anestesia, ma mia moglie, che era li, mi disse che quando i dottori videro le cellule attraverso un microscopio, cominciarono a piangere perché rsultò che io avevo una rara forma di cancro al pancreas che era curabile.

Mi operarono e ora sto bene.

Questa è stata la volta che sono stato più vicino alla morte e spero sia così ancora per qualche decennio.

Essendoci passato, ora posso dirvi queste cose con una maggiore consapevolezza rispetto a quando per me la morte era un concetto utule ma puramente intellettuale:
nessuno vuole morire.
Anche le persone che vogliono andare in paradiso non vogliono morire per andarci.

Ciononostante la morte è la destinazione che tutti noi condividiamo.
Nessuno è mai riuscito a fuggirla. E deve essere così, perché la Morte è molto probabilmente la più grande invenzione della Vita.

E' l'agente di cambiamento della Vita. Elimina il vecchio per dare spazio al nuovo.

Ora il nuovo siete voi, ma un giorno non troppo distante da oggi, diventerete gradualmente il vecchio e sarete spazzati via.

Scusatemi se sono così drammatico, ma è la pura verità.

Il vostro tempo è limitato, quindi non sprecatelo vivendo la vita di qualcun'altro.
Non lasciatevi intrappolare dai dogmi - che significa vivere secondo i risultati dei pensieri di qualcun'altro.
Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui sommerga la vostra voce interiore.
E, cosa più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. Loro in qualche maniera sanno già cosa vorrete diventare. Tutto il resto è secondario.

Quando ero giovane, c'era una incredibile pubblicazione chiamata The Whole Earth Catalog, che è stata una delle bibbie della mia generazione.
La creò un tizio, non lontano da qui a Menlo Park, chiamato Stewart Brand, e la realizzò con il suo tocco poetico.
Era la fine degli anni '60, prima dei personal computer e della fotocomposizione digitale, pertanto era fatta tutta con macchine da scrivere, forbici e macchine polaroid.
Era una specie di Google di carta, 35 anni prima che arrivasse Google: era idealista, e ricca di strumenti e nozioni interessanti.
Stewart e il suo gruppo pubblicarono vari numeri di The Whole Earth Catalog, e quando esaurì il suo corso ne pubblicarono un'ultima.

Era la metà degli anni '70, e io avevo la vostra età.
Sul retro copertina c'era la foto di una strada di campagna di prima mattina, quel tipo di strada sulla quale, se siete avventurosi, vi potreste trovare a fare l'autostop.

Sotto la foto c'erano queste parole:

"Resta affamato. Resta incosciente."


Era il loro messaggio di addio.

Resta affamato. Resta incosciente.

E io ho sempre voluto questo per me. E ora, mentre voi vi diplomate per cominciare qualcosa di nuovo, lo augoro anche a voi.

Resta affamato. Resta incosciente.

Grazie molte a tutti.

mercoledì 11 aprile 2007

Nonna

Questa sera vorrei scrivere ma non delle solite cose che ora come ora mi verbbero naturali, quindi vi partecipo l'introduzione di una cosa a cui lavoro da un pò di tempo.

E' una specie di diario rock n' roll, sulle cose che mi sono capitate bazzicando con la musica.

E' dedicato a mia nonna Alba, la persona più importante fino ad ora nella mia vita.

Leggetevelo e spero vi diverta.

Notte,

Andrea

I Believe in Rock n' Roll

Se dovessi pensare a tutte le coincidenze che mi hanno portato ad avere a che fare in qualche modo con il sacro fuoco del rock n’ roll farei prima a leggermi tutte le centurie di Nostradamus, ma qualcuna ha effettivamente senso.

La prima che mi viene in mente è il fatto che durante tutti e sei gli anni di permanenza presso il liceo scientifico statale Martin Luther King Jr. di Genova sono sempre stato una schiappa di matematica.

Dal 1986 al 1992 ho preso soltanto due volte la sufficienza durante un compito in classe, e una delle due è stato in quarta quando ripetevo l’anno.

Mia madre cercò in tutti i modi di capire come fosse possibile che io, il ragazzino considerato fino alla terza media una specie di genio in miniatura, improvvisamente sia diventato uno zero totale in matematica, materia che avevo sempre affrontato ad occhi chiusi.

Beh, se da una parte la colpa era da addossare alla mia collezione di dischi degli Iron Maiden che cresceva in maniera inversamente proporzionale ai miei profitti scolastici, dall’altra c’era la chitarra.

Appena tornavo a casa da scuola mollavo i libri, mettevo su Appetite for Destruction dei Guns N’ Roses e fino alle 7 di sera la mia camera da letto si trasformava nel Roxy di Los Angeles con mio fratello come unico spettatore costretto a sorbirsi le mie esibizioni con tanto di salti giù dal letto, piroette per terra a la C.C. De Ville e windmill alla Pete Townshend.

Su questi argomenti tornerò più tardi, ma una responsabilità oggettiva va imputata alla persona alla quale dedico questo mio scritto.

Quella persona era mia nonna.

Nel 1988 andavo come tutti i pomeriggi due volte alla settimana a ripetizioni di matematica in un centro specializzato nell’ aiutare gli studenti delle scuole superiori a porre rimedio alle proprie lacune scolastiche e ogni volta, prima di andare a lezione, mi passavo tutte le edicole del centro alla ricerca di riviste di musica americane che costavano sempre un occhio della testa e attraverso le quali cercavo di scoprire come fosse il mondo della musica al di fuori di una città come Genova che non aveva assolutamente niente da dire a riguardo.

Fu in un pomeriggio di quelli che mi cascò l’occhio su un articolo che parlava di un libro che sarebbe diventato la mia bibbia personale, “Backstage Pass: a non-perfomer’s guide to rock n’ roll touring careers”.
L’articolo era scritto da Elliot Hoffman, l’avvocato dei Ramones, e destino vuole che ci fosse scritto come ordinarlo per posta.
Il libro era una sorta di Bignami dell’aspirante road rat, c’era il tecnico degli effetti pirotecnici degli Iron Maiden che spiegava come ottenere una fiammata alta sei metri e il road manager dei Rolling Stones che spiegava come trovare sempre una camera d’albergo per i suoi clienti:

RECEPTIONIST: “mi spiace signore ma questa sera siamo al completo”
ROAD MANAGER: “mmm, senta, se venisse il presidente degli Stati Uniti questa sera gli trovereste una stanza?”
RECEPTIONST: “ovviamente si”
ROAD MANAGER: “bene, per questa sera allora prendiamo la sua ”

Questa frase non mi è mai servita durante i tour che organizzai negli anni seguenti, ho sempre prenotato gli alberghi in anticipo, e non ho mai dovuto trovare una stanza per il cantante dei Pleasure Fuckers che voleva passare una notte con la moglie del nostro primo ministro, ma quando ho lavorato come addetto alle prenotazioni alberghiere di un tour operator mi ha risolto non pochi casini.

Ad ogni modo, all’epoca sognavo si di diventare una rockstar, ma ero ancora un ragazzino di 16 anni sovrappeso e di farsi crescere i capelli non se ne parlava, quindi l’idea di diventare un roadie o un tour manager mi sembrava ampiamente più alla mia portata.

Tornato a casa lessi e rilessi l’articolo almeno 20 volte e mi convinsi che quel libro poteva essere la chiave di volta della mia carriera di dominatore del music business, ma come potevo ordinarlo?

All’epoca non esisteva internet e Amazon.com era pura fantascienza, mi ci volevano 16 dollari, che ovviamente non avevo e così, con la mia solita faccia da culo, mi rivolsi alla persona che non sapeva dirmi di no, mia nonna Alba.

Sono cresciuto con mia nonna.

Avevo un anno quando Sandro, mio fratello e futuro compagno di malefatte musicali, è venuto al mondo.
Mia madre aveva solo 21 anni e così fui piazzato a casa dei miei nonni mentre il fratellino costringeva la povera mamma al secondo tour de force fatto di pannolini sporchi e poppate in meno di 15 mesi.

La vita coi nonni non era affatto male, mia nonna aveva un negozio di giocattoli strategicamente piazzato accanto alla migliore pasticceria del quartiere e, quando non ero in negozio a rubare soldatini o a litigare coi bambini che si compravano la mia macchinina preferita del giorno, ero nella pasticceria a trangugiare cannoli alla crema.

Una volta per sbaglio mi mangiai una confezione intera di pillole anticoncezionali di mia madre scambiandole per Zigulì e, dopo la lavanda gastrica d’obbligo, mia nonna mi consolò facendomi mangiare tutti i cannoli che volevo.
Ne mangiai un chilo e mezzo per la gioia di Rocco il pasticciere e la disperazione del portafoglio di mia nonna.

Come dicevo, coi miei nonni mi trovavo da dio, mio nonno Alberto era tornato in Italia dopo quasi 30 anni passati nel Congo Belga e passavo le giornate a sentire le sue storie sui safari, sulla foresta e sul suo chimpanzé Jerome.

Ad un certo punto imparai pure un po’ di swaili, in casa dei nonni era la terza lingua dopo il francese e l’italiano, anche se ora so solo una frase “mi na quenda na n’yumba na baba” che vuol dire “vado a casa di mio nonno”, se non ricordo male.

Ero esposto costantemente ad informazioni, storie su luoghi lontani, e questi due nonni non perdevano occasione nel dare spazio al mio estro, che si sarebbe poi trasformato in una logorrea e una pignoleria cronica che ancora oggi affligge chi ha la sventura di affrontare una conversazione in mia compagnia.

Quando mia nonna mi raccontava la favola di Pollicino, per farmi addormentare prima o perché si era rotta le scatole di raccontarmela per l’ennesima volta, la accorciava di brutto e io, puntualmente, la riprendevo dicendole che si era dimenticata dei sassolini bianchi o del patrigno cattivo.

Nonostante tutte queste premesse, che forse hanno fatto pensare più di una volta ai miei nonni di lasciarmi affogare in mare a Boccadasse, il piccolo borgo di mare dove vivevo, quando mi buttavo completamente vestito in acqua per nuotare, mi hanno cresciuto riempiendomi di amore e di attenzioni e mai e poi mai mi hanno detto di no.

Mio nonno purtroppo morì nel 1984 per una banale forma di orecchioni e visto che mia mamma, dopo essersi separata da mio padre 3 anni prima, lo stesso giorno della morte di John Bonham dei Led Zeppelin, era diventata una donna in carriera sempre via da casa, io e mio fratello ci trovammo da soli ogni giorno fino al 1992 con nostra nonna.

In quegli anni lei ci fece da mamma e purtroppo le toccò assitere in maniera impotente al nostro lento sprofondare nelle grinfie del rock.

Qualche tentavivo di stampo controriformista da parte sua ci fu, ma come dicevano gli AC/DC "You can’t stop rock n’ roll".

Un pomeriggio di febbraio del ’88 mi feci coraggio e per ottenere questi famosi 16 dollari presi la questione da lontano.
Iniziai a dirle che volevo diventare un tour manager, le spiegai l’importanza di quel tipo di lavoro nell’ambito di una tournée, ovviamente non le dissi che oltre ad incassare il cachet del gruppo tra le sue mansioni rientrava pure procacciare groupies e droga per la band, e così via.

Dopo mezz’ora mia nonna se l’era intagliata che volevo chiederle qualcosa e così mi disse “Dudi”, questo era il soprannome con cui mi chiamavano in casa, “cosa vuoi?” e io le risposi “sai, c’è questo libro che vorrei tanto, costa solo 16 dollari, non è che me li puoi prestare, poi te li rendo”. Si come no.

So che questa mia affermazione potrebbe pregiudicare qualunque mia futura richiesta di credito a terzi, ma non penso di aver mai reso un centesimo a mia nonna di tutti i soldi che mi ha prestato a seguito di mie promesse di restituzione.
Allo stesso tempo penso che lei sapesse che erano a fondo perso e poi, come ho detto prima, non mi avrebbe mai detto no.

Non pensiate che mia nonna fosse tonta, anzi, se c’era una persona in grado intagliarsela subito se qualcuno le stava raccontando una palla era proprio lei, ma con me ha sempre chiuso un occhio, se non tutti e due.

Il giorno dopo mia nonna andò in banca e tornò a casa con i dollari.
In men che non si dica mi precipitai all’ufficio postale e affidai ad una busta il mio destino.

Passarono due mesi prima che nella cassetta delle lettere si materializzasse un pacchetto che conteneva il mio manuale delle giovani marmotte in borchie e pelle nera.

Non appena aprii il pacchetto vidi che c’era un bigliettino per me e diceva ”Andrea, sei l’unica persona in Europa ad aver ordinato il nostro libro. Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensi, Eric”.
L’Eric in questione era Eric Todd, uno dei più importanti realizzatori di produzioni live negli Stati Uniti e ovviamente non mi tirai indietro nell’approfittare di un’occasione del genere.

Mi feci prestare da mia madre una macchina da scrivere che aveva in ufficio ed iniziai a scrivere ogni due settimane ad Eric e in quei mesi, oltre a cavargli l’indirizzo di Jane Rose, manager di Keith Richards dei Rolling Stones, gli posi, per via epistolare, qualunque domanda il libro non mi avesse chiarito.

Ero ad un passo dall’ottenere un posto in una tournée da lui organizzata quando su di me si abbatté la mannaia scolastica con tripla rimandatura a settembre e conseguente bocciatura.

Le mie aspirazioni da road manager, o meglio, da roadie, erano state stroncate sul nascere dalla ovvia incazzatura di mia madre, ma ci voleva ben altro per fermarmi.

L’appuntamento col rock n’ roll vissuto sulla pelle era solo rimandato.

Grazie nonna.

domenica 8 aprile 2007

Lupo Solitario


Sono piuttosto massacrato dalle ultime due settimane.

Massacrato fisicamente, non a livello di morale o altro, anche se per la seconda volta nella mia vita mi trovo ad aver nostalgia per una ragazza che ora è su di un'isola.

L'ultima volta è stato nell'agosto del '95 e le sensazioni erano molto simili.

Stasera tutto nasce da varie cose, essere di nuovo da solo in città in un periodo di festa mentre lei è via, avere un sacco di tempo per pensare, un brutto flashback sulla mia ex-moglie tornando a casa da una festa oggi pomeriggio e aver pescato una delle scene più belle di uno dei miei film preferiti di tutti i tempi, Lupo Solitario di Sean Penn.

Se proprio deve esserci una sola ragione per la quale Bruce Springsteen debba essere mai esistito, quella ragione è aver scritto Highway Patrol Man, da Nebraska, la canzone che ha ispirato questo film.
Lupo Solitario, o The Indian Runner nel suo titolo originale, è quello che io definisco un film della madonna, e questa scena è uno dei tanti piccoli gioielli che lo compongono.

Mi fa pensare perché ha come sottofondo Coming Back to Me dei Jefferson Airplane, musica stupenda con parole fantastiche:

Strolling the hill,
Overlooking the shore,
I realize I've been here before.
The shadow in the mist
Could have been anyone
I saw you, I saw you,
Coming back to me.


Una canzone che non può non toccarti dentro, sembra scritta apposta per questi fotogrammi.

Frankie che non riesce a trovare pace nonostante Dorothy lo aspetti a casa.
Frankie che deve distruggere ogni cosa bella perché niente deve essere veramente bello nella sua vita.
Un padre che prima di spararsi guarda per l'ultima volta i filmini di quando i suoi figli erano ancora innocenti e potevano diventare qualunque cosa.
Dorothy che aspetta una telefonata di Frankie.

Questa scena è pregna di aspettative, di delusioni, di rassegnazione.
E' cinicamente, dolcemente vera.

Non vi dico altro perché non vi voglio guastare il piacere raro di vedere un bel film.

Se una di queste sere volete farvi un viaggio un pò più intenso cercatene una copia, ordinatelo, trovatelo e mi ringrazierete.

Io ora vado a dormire, fortunatamente ho sonno, domani è Pasqua e ho un sacco di cose da fare.

Rimuginerò domani sera, aspetterò martedì con ansia cercando di non dover fare l'ennesimo giro in Vespa da solo con le parole di Joe, il fratello di Frankie, ad accompagnarmi verso casa:

I tried to tell myself I did my job. That it was in self-defense. I didn't believe me.

martedì 3 aprile 2007

04:26 ...

... e sono ancora sveglio.

Onde Storte


Un post leggero una volta tanto visto che sono di buon umore.

Oggi per un curioso scherzo del destino mi sono ritrovato ad un incontro di lavoro con una figura leggendaria della mia adolescenza, la Voce Misteriosa di Onde Storte.
Discutevamo una campagna di comunicazione per l'azienda per la quale lavoro e alla fine, trovatici d'accordo siamo partiti in tromba a ricordare la trasmissione di cui lui era il conduttore.

Per i lettori genovesi il solo sentire il nome Onde Storte significa ritornare agli anni '80, a innumerevoli lunedì sera passati ad ascoltare una manica di pazzi furiosi delirare alla radio tra le avventure di tossici accattoni, poeti dall'incerto orientamento sessuale e deliranti critici cinematografici, per citare soltanto alcuni dei personaggi che popolavano questa leggendaria trasmissione radio.

Per chi viene da fuori consiglio vivamente di dare un'ascoltata al podcast di Onde Storte, la leggendaria trasmissione radio genovese che ha ispirato cose come Mai dire Goal e altro, ma raggiungendo picchi comici che si possono giustificare solo le enormi quantità di droga consumate nello studio e il delirio portato dalla stanca e desolata Genova degli ultimi anni '70.

Potete trovarlo al seguente link: http://feeds.feedburner.com/radionostalgia/ondestorte

Sia chiaro anche i genovesi che avevano perso le tracce della banda del Flacca, Fraudolento, Felix Zampa, Labio Bidetti e compagnia bella scaricatevi questo ben di Dio perché ne vale veramente la pena.

Se non sapete quale scegliere dei vari podcast disponibili scaricatene uno con il Flacca, tipo questo: http://ondestorte.nostalgia.it/2007/OndeStorte_2006-2007_puntata_10_2007-02-05_04_Flacca.mp3

Buon ascolto e mettetevi i pannolini perché vi piscierete addosso dalle risate.

Notte,

Andre

lunedì 2 aprile 2007

L'uomo senza sonno

Maledetta insonnia.

Giuro che ne ho le palle piene di questa mia cazzo di resistenza al sonno.

E' da mercoledì scorso che di nuovo non dormo un cazzo.

Mi metto a letto e mi rigiro, mi rialzo per fumare, per bere e mi rimetto a letto.
Niente, non dormo.

Almeno la scorsa estate ero arrivato a sentire le voci e a vedere i fantasmi.

Come situazione era sicuramente più suggestiva, ora invece niente, solo il tedio di sapere che domattina sarò rincoglionito e probabilmente pure in ritardo.

Il brutto di tutto ciò è che nella disastrosa estate del 2006 pensavo di essere tranquillo, o almeno me la raccontavo, invece non lo ero.

Ora invece è pura consapevolezza, che è molto peggio.

Chiodi fissi nella testa rendono ogni cuscino scomodo, ogni pensiero una fissa, qualunque
cosa va bene pur di non dormire.

E il bello è che ci riesco.

Il bello è che la mattina riesco ad alzarmi nonostante il coma.

Il bello è che tutto ciò che di notte non mi fa dormire, durante il giorno è come se fosse assopito.

Cazzo, io e il mio subconscio non potremmo metterci d'accordo?

A sto punto preferirei quasi passare 18 ore al giorno in agitazione e poi crollare invece che stare tranquillo fino a quando non mi devo mettere a letto.

Prendiamo oggi ad esempio.

Ieri sera mi sono sbronzato e sono crollato a letto alle 6 del mattino.
Vengo svegliato alle 14 con telefonata della mia fonte principale di insonnia e quindi mi alzo volentieri, di buon umore, fumo e bevo caffé mentre rendo un resoconto della mia serata di ieri, pessima, con capatina finale in un posto che era un concentrato di sub-umani emersi Dio solo sa da dove.

Giornata di cazzeggio a casa di un mio amico coi suoi bimbetti a guardare "Ritorno al Futuro" e quindi di nuovo a casa.

Tant'é, della serie destino beffardo, incontro strada facendo la mia sveglia della domenica, e dopo un saluto veloce e sbrigativo, mi pento di essere stato così sbrigativo.

Amen.

Noleggio un film di Will Ferrel, divertente ma non chiedetemi il titolo, non me lo ricordo, e lo guardo mentre mi mangio una pizza.

Porto fuori Graph, è il mio cane, eccovi una sua foto, a fare l'ultima passeggiata e, quando sto per buttarmi a letto, "miracolo sono solo le 22.15", come al solito, inizia il cincischiamento notturno.

Scrivi, leggi, guarda, fai il bucato, fuma ancora.

Ora mi trovo qui di nuovo a scrivere senza il minimo senso di sonnolenza.

Più vado avanti e più mi viene in mente L'Uomo senza sonno con Christian Bale, gran film.

Lui di chili ne perse 30, io per ora solo 20, e ovviamente non penso proprio che riuscirei ad arrivare ad essere di nuovo 60 chili come a 18 anni, ma sto cazzo di tarlo che non mi fa dormire prima o poi deve venire fuori.

Devo fare assolutamente qualcosa.

Consigli?

Notte (si fa per dire),

Andre